martedì,Luglio 2 2024

Processo Reset, il pentito Luciano Impieri racconta i segreti della ‘ndrangheta di Cosenza

Dai rapporti tra Maurizio Rango e Michele Di Puppo alla "pax mafiosa" tra italiani e "zingari". Senza dimenticare i retroscena sulle dinamiche criminali, come il blocco degli "stipendi" ai carcerati dopo il suo passaggio con Mario Gatto

Processo Reset, il pentito Luciano Impieri racconta i segreti della ‘ndrangheta di Cosenza

Al processo ordinario di Reset è giunto il momento dell’esame di Luciano Impieri, il pentito di ‘ndrangheta di Cosenza, che collabora con la giustizia dal 2018, quando un giorno decise di recarsi dal luogotenente Francesco Parisi, all’epoca comandante della caserma dei carabinieri di Cosenza Nord, per “saltare il fosso”. Oggi Luciano Impieri ha intrapreso un percorso spirituale.

Impieri nel gruppo degli “zingari”

Luciano Impieri ha esordito facendo i nomi dei suoi “amici” di clan: «Eravamo io, Maurizio Rango, Ettore Sottile, Daniele Lamanna, Gennaro Presta e Cosimo Bevilacqua detto il Corvo. Mi occupavo di estorsioni. Ho iniziato a far parte della ‘ndrangheta nel 2002 quando frequentavo Franco Bruzzese, Carlo Lamanna e Giovanni Abruzzese. Facevo la staffetta per gli assalti ai furgoni portavalori. Per questi fatti sono stato condannato in via definitiva. Dopo il 2004 ero diventato persona di fiducia nella discoteca gestita da Nella Serpa e Mario Attanasio. Poi nel 2006 sono stato arrestato per un tentato omicidio ai danni di Francesco Sbano».

Luciano Impieri, il momento dell’affiliazione alla ‘ndrangheta

Luciano Impieri, entrando nel merito, ha affermato di aver fatto ingresso nel gruppo Rango-zingari nel 2009-2010, «quando Bruzzese arrivò in carcere a Cosenza. In quel momento le affiliazioni erano state bloccate, Franco disse a Michele Bruni se potevo ricevere il “merito”, ovvero “picciotto” e “camorra”. Fui battezzato da Franco Bruzzese e Maurizio Rango. C’erano Zungri, Albanese, Colacchio e Voce. La copiata era composta da Michele Bruni, Giovanni Abruzzese, Carlo Lamanna, Pasquale Arena e Paolo Lentini. Rango mi tirò il sangue in cella. Ricordo anche che Michele Bruni aveva deciso di inserire la data retroattiva nel 2006. Non so perchè fossero bloccate le affiliazioni».

Dopo il tentato omicidio di Paola, Luciano Impieri esce di carcere il 23 febbraio 2013. «Michele Di Puppo dalla finestra mi aveva detto di rivolgermi a Maurizio Rango in quanto meritavo qualcosa in più. Ho portato questa imbasciata, anche se Rango all’inizio uscì con le solite offese, dicendo che nessuno gli doveva dire quello che dovevamo fare».

I rapporti tra Maurizio Rango e Michele Di Puppo

«I rapporti criminali tra Maurizio Rango e Michele Di Puppo erano buoni, anche se Rango cercava i difetti anche quando non c’erano. Michele Di Puppo aveva un suo gruppo, la sua persona di fiducia era Alberto Superbo. C’erano anche Umberto Di Puppo, Giovanni che non stava tanto bene, Francesco De Luca, degli altri non ricordo i nomi. Alberto Superbo lo conosco da tantissimo tempo, ovvero da quando aveva il motorino che guidava senza patente. Queste persone le conoscevo per la mia attività professionale di parrucchiere. Di Puppo era benevolo con me perchè sapevo farmi il carcere, anche perchè mi conosceva da ragazzino», ha aggiunto Impieri.

«Michele Di Puppo è stato sempre rispettato e temuto da tutti. Che dote di ‘ndrangheta avesse non lo so, non l’ho mai saputo ma comandava anche in carcere. Rango e Di Puppo avevamo stipulato accordi di pace, cosa che ho saputo nel 2013. Mi hanno spiegato che c’era il 60-40, ovvero la percentuale di soldi da destinare ai detenuti per il loro mantenimento. Il 60-40 si intendono le varie attività illecite, come estorsioni e droga, i cui proventi andavano nella “bacinella”», ha spiegato il pentito.

La “pax mafiosa”

«L’accordo di pace interviene tra italiani e “zingari”. Ettore Lanzino decise questa spartizione, con l’aggiunta del 10 per cento in più, insieme a Franco Bruzzese, Franco Presta e Maurizio Rango. Di questa riunione me ne parlarono sia Ettore Sottile che Maurizio Rango, i quali mi misero a conoscenza di come si muovesse la situazione. Rango tra l’altro si pavoneggiava facendo capire a tutti chi era lui, voleva mettersi in evidenza. Il summit per la “pax mafiosa” ci fu nel periodo in cui decisero di uccidere il povero Luca Bruni ovvero quando Lanzino e Presta erano latitanti», ha dichiarato Luciano Impieri.

«Il 60-40 significava anche che ognuno di noi poteva uscire tranquillo, mangiandosi una pizza con la propria famiglia». Negli italiani «c’erano Rinaldo Gentile, Mario “Renato” Piromallo, Francesco Patitucci, Michele Di Puppo, Mario Gatto e Roberto Porcaro. Sono tutte persone che ho conosciuto personalmente» ha chiarito Luciano Impieri.

Inoltre, il collaboratore di giustizia ha affermato di aver conosciuto Patitucci «tramite Francesco Ripepi, al parcheggio auto, poco dopo che uscì di carcere. Era il 2005, inizio 2006. Nel 2013, mi sono diretto sotto il carcere da Gianluca Marsico, anche lui esponente degli italiani, e si sono affacciati gli altri, come Francesco Patitucci. Erano le 10.30 di sera». «Rango mi fece conoscere Roberto Porcaro, fino a quel momento se ne sentiva solo parlare. Quel giorno ci fu l’arresto di Antonio Illuminato per le armi, quest’ultimo era il suo autista».

Il rapporto con Mario “Renato” Piromallo

Mario “Renato” Piromallo «lo conosco da anni», ha detto Impieri, «sin da quando eravamo ragazzini che frequentavo suo cognato, con il quale andavo a scuola. Piromallo dava la droga ad Ettore Sottile. Io con lui avevo un’amicizia normale. Rango poi decise di far sparare alla vetrina dell’agenzia di Francesco De Cicco e chiedemmo scusa a Piromallo per questo gesto» sul quale ritornerà a breve.

«Il 2013 la “bianca“», ovvero la cocaina, «la prendeva da Mario Renato Piromallo”, lo incontrammo con il T-Max”. Rango un giorno «mi chiese di portarlo da Saverio Magliari, che io chiamavo “zio Saverio” e lo accompagnai da lui, al quale richiese un chilo di cocaina, ma non ne aveva a disposizione. Così andammo ad Amantea, ma neanche lì ne avevano. Nel viaggio di ritorno, incontrammo Renato Piromallo, che diede la droga ad Ettore Sottile e quest’ultimo elogiò Piromallo. La droga fu divisa. Preciso che Rango in quella fase non voleva avere niente a che fare con gli italiani”, in quanto «tutti i dissapori nascevano dal parcheggio di piazza Fera, Rango ce l’aveva con Rinaldo Gentile, perché gli italiani non volevano farci entrare nell’estorsione».

La sparatoria alla sala giochi di Francesco De Cicco

Tornando all’atto intimidatorio subito da Francesco De Cicco, attuale assessore comunale di Cosenza, «fatto da Danilo Bevilacqua», ha precisato Impieri, il pentito ha dichiarato che Ariello, Piromallo e Porcaro avevano interessi nella sala giochi. «De Cicco doveva dare delle somme di denaro a loro, quindi non poteva essere toccato. Altrimenti ci saremmo dovuti prendere noi le responsabilità di tutto. Così abbiamo lasciato stare».

Il riferimento a Tonino Presta

Il pm Vito Valerio, che ha condotto l’esame, ha introdotto l’argomento relativo al gruppo Presta. «Non ho conosciuto Franco Presta, ma ne parlavano sempre Sottile, Rango, i quali mi dicevano che era temutissimo, un sanguinario. In carcere sapevamo che stesse piangendo la morte del figlio», ucciso a Spezzano Albanese, da cui scaturì poi una vendetta feroce.

«Ho conosciuto Antonio Presta, nella cella 5, nel periodo che sono arrivato in carcere, parliamo del 2014. In questo periodo ero vicino a Mario Gatto. Arrivò l’imbasciata di “Porco Porco“, il quale mi disse che Mario Gatto mi aspettava. Si era dato da fare per trovarmi una cella con gente di Reggio Calabria, uno di questi era amico di Bruno Pizzata, che conosco personalmente».

La Dda ha chiesto ancora elementi su Tonino Presta: «Gatto quando uscì disse a Tonino Presta che io dovevo passare nella sua cella. Con Tonino alcune volte passeggiavamo. Di lui so che è stato arrestato nell’operazione Santa Tecla, processo grosso di droga, dove c’erano imputate altre persone. Tonino era una persona che comandava, aveva il suo gruppetto nel quale c’era anche il fratello, di cui al momento non ricordo il nome. Era anche lui in carcere, parliamo della fase detentiva trascorsa con Biagio Barbiero, Salvatore Pati e questo ragazzo, fratello di Antonio e cugino di Franco Presta. Il figlio di Tonino si chiama Giuseppe, era al primo piano, pare che spacciasse droga a Milano con la Ferrari». Dentro il carcere «i rapporti tra Tonino Presta e gli altri italiani erano buoni. Salvatore Ariello se doveva picchiare qualcuno alla media sicurezza o mandare messaggi ne parlava sempre con Tonino Presta».

La conoscenza di Adolfo D’Ambrosio

Luciano Impieri ha poi parlato di Adolfo D’Ambrosio: «I rapporti di tipo criminali ci sono stati dopo la mia uscita dal carcere, anno 2013. D’Ambrosio si occupava delle estorsioni boschive in Sila e mi disse che voleva farmi conoscere “Topolino” che era appena uscito dal carcere. Ma Daniele Lamanna disse di no, perché fino a quel momento lui si portava Adolfo Foggetti».

«Tornando a Rango, posso dire che lui mal digeriva le “regole”, cercava sempre di non rispettarle facendo di testa sua. Ho sempre pensato che chi “pagava” non doveva essere infastidito, invece era il contrario. Chi “pagava” era infastidito, chi non “pagava” no. Rango portava da un battilamiera auto di persone che conosceva e questo faceva venir meno i soldi ai carcerati. Non bisognava far stare loro per avere la bella faccia fuori. Così, ho deciso di andare via e da quel giorno camminai con tre pistole addosso, passando con Mario Gatto. A questo punto potevo fare estorsioni anche a Rende».

Il blocco degli “stipendi”

Il collaboratore Impieri ha parlato pure dei cosiddetti “stipendi”. «A Napoli Secondigliano percepivo a stento mille euro al mese per la mia detenzione in carcere, percepiti tramite Antonio Gabriele, che doveva portarli a una donna diversa da mia moglie, con la quale oggi condivido la mia famiglia. Questi soldi venivano dati su ordine di Salvatore Ariello a Rinaldo Gentile in seguito subentrò Mario Renato Piromallo, poi Porcaro e Patitucci bloccarono i soldi ai carcerati, così rimasi senza “stipendio” per alcuni mesi. Preciso che facevo lo stesso la spesa» ha riferito Impieri.

Le singole posizioni

«Alessandro Morrone era vicino a Roberto Porcaro, gestiva i giri di usura. Porcaro andava da lui e non si toglieva mai il casco dalla testa». E ancora sulle sue condotte: «Non ho mai destinato i soldi ai carcerati, ma raccoglievo i soldi e li consegnavo ad Ettore Sottile che deteneva la “bacinella“, un mese portai circa 70mila euro di estorsione». Nello “scasso” di Franco Casella «so che venivano custodite le auto con le quali si commettevano le attività illecite».

Per quanto riguarda l’estorsione a un supermercato, Impieri ha specificato che «gli “zingari” non c’entrano nulla. Noi siamo andati a ritirare solo i soldi su mandato di Rango. Ci consegnarono 6mila euro ma erano degli italiani». E ancora, l’estorsione ai danni di un noto bar di Cosenza: «Andammo con Adolfo Foggetti. Io il “regalo” già lo faccio, ci rispose il proprietario. “A chi? A Patitucci“, ogni festività tramite a Rosanna Garofalo. Rinaldo Gentile non fu d’accordo e riteneva che fosse una gestione “sottobanco” delle estorsioni. Allora ritornammo imponendogli le somme da pagare a Pasqua, Natale e Ferragosto. I soldi passava a prenderli Rango con Porcaro, ma non so se sono stati buttati nella “bacinella” o divisi al momento». Poi il racconto dell’estorsione a una pizzeria di Cosenza: «La persona offesa non voleva pagare, addirittura aveva fatto l’offesa, dicendo che se avessimo voluto fare feste o mangiare una pizza ce l’avrebbe offerta. La mattina dopo venni a sapere che fu fatto un atto intimidatorio nei confronti della pizzeria deciso da Rango». Estorsioni alla Fiera di San Giuseppe? «Se ne occupava Sergio Del Popolo, che era sotto usura di Giovanni Abruzzese».

Impieri ha anche ricostruito le estorsioni a una conosciuta gioielleria di Cosenza e una nota gelateria. Nel primo caso, il pentito ha detto che «dopo il 2013 notai un cambiamento nei comportamenti del proprietario della gioielleria. Volevo fare un regalo a mia moglie dopo essere uscito dal carcere e quindi chiesi se fosse possibile prendere un anello, anche se a lei non piacevano queste cose. Passando al pagamento, cercai di metterlo sul “conto”, ma lui disse di no. Per me era una mortificazione e nella mia testa pensai che fosse arrivato il momento di spararlo all’interno della gioielleria. Lamanna mi fermò dicendomi che pagava l’estorsione agli italiani, a Patitucci, circa 5mila euro. Andammo insieme, mi chiese scusa invitandomi di prendere l’anello ma io non accettai e gli dissi che se non l’avevo sparato prima lo avrei fatto ora”.

Nel secondo caso, il collaboratore ha spiegato che «sono andato a ritirare i soldi a Cosenza e a Rende, 4mila e 4mila a testa. Era un’estorsione fatta all’inizio da Michele Bruni, gli italiani non dovevano sapere di questo, c’era una magagna sotto, i soldi non andavano nella bacinella ma venivano divisi e consegnati ad Adolfo Foggetti, Ettore Sottile e Maurizio Rango».

Giovanni Abruzzese e gli altri imputati

«Giovanni Abruzzese è il capo dei “rom” di Cosenza, fino al 2018 era al 41 bis. A Cassano invece comandava Franco Abbruzzese, oggi sono un’unica cosa. Tutti gli altri erano “reggenti”, parlo di Bruzzese e Maurizio Rango. È sempre stato lui il capo». Impieri conosce anche «Luigi Berlingieri, tutti lo volevano morto, dopo le rapine faceva quello che voleva, se ne andava a Milano, dove aveva un’altra vita». Il collaboratore ha detto di conoscere anche Danilo Bartucci, Alessandro Cariati, tutti vicini «a Mario Renato Piromallo», Rosina Arno, «moglie di Salvatore Ariello», Antonio Colasuonno («ma non ho avuto mai a che fare con lui», Antonio Lucà, Antonio Pignataro “detto Cicchitella”, «che in carcere mi disse che non andava d’accordo con Luigi Muto», Andrea Reda, Mario Perri, Mario e Ivan Trinni, mentre ha detto di non ricordarsi di Giuseppe Broccolo. Il pm Valerio ha chiesto informazioni anche su Rosanna Garofalo, ex moglie di Patitucci: «L’ho vista solo una volta all’Ultimo lotto, so che fa usura insieme a un altro parente».

Il controesame

Il primo a porre domande in chiave difensiva è stato l’avvocato Lucio Esbardo. «Sapevo nel 2018 dell’esistenza della confederazione mafiosa a Cosenza, ci fu una riunione a Rende dove sancirono questa cosa», ha detto Impieri, aggiungendo che «ero presente insieme a Daniele Lamanna, Ettore Sottile, Adolfo Foggetti, Maurizio Rango, Mario Gatto, Umberto Di Puppo e tanti altri».

Il legale poi si è focalizzato sulla conoscenza criminale tra Lanzino e Presta: «Non erano nello stesso gruppo, ma non so rispondere sulle differenze tra due. Non conosco Sandro Vomero, Fabio Giannelli, Giuseppe Palermo, Mario Palermo, Giovanni Petta, Salvatore Miraglia, Antonio Pacifico mentre conosco Antonio Presta. Quest’ultimo le uniche confidenze che mi ha fatto sono che non andava d’accordo con il titolare di un’agenzia di scommesse e che era arrabbiato con il fratello. Con il figlio Giuseppe non ho avuto alcun rapporto». Infine, «non sono a conoscenza se i soggetti menzionati prima abbiano portato “soldi” nella “bacinella”».

Poi è stata la volta dell’avvocato Gianpiero Calabrese che ha posto domande su Mario Perri. «L’estorsione? Sì, quella ai danni della pizzeria era contestata nel processo “Rango-zingari”». A seguire il controesame dell’avvocato Domenico De Rosa, che è ritornato sul discorso Porcaro-Alessandro Morrone. «Morrone l’ho incontrato nel 2013 in un negozio di alimentari e nel 2017 anche a casa mia quando ero ai domiciliari. Quel giorno ho dato fiducia a lui quando disse che si presentava a nome di Porcaro».

Altre domande sono state formulate dall’avvocato Vincenzo Guglielmo Belvedere, co-difensore di Franco Casella: «Non era associato al gruppo “Rango-zingari“, ma era un amico di tutti. Non aveva alcun grado, anche se so che era vicino a certe persone, come Lanzino, Gatto ma non sono a conoscenza del fatto che Casella abbia commesso reati per conto loro». L’avvocato Fabio Bonofiglio è andato nello specifico: «Casella – ha risposto Impieri – non ha mai convocato una riunione ma questo lo faceva Rango anche quelle che riguardavano le discoteche».

In chiusura di controesame, le ultime domande degli. Come quelle poste dall’avvocato Giorgia Greco. «Ho deciso di collaborare perché non mi rispecchiavo più nelle attività criminali che facevo. Non ho mai avuto problemi con qualcuno, non avevo più la capacità di fare male» ha detto Impieri. Poi il passaggio sul luogotenente Parisi: «Sì, l’ho chiamato due giorni prima dell’8 marzo 2018. Dopo 10 giorni sono andato via. Il primo fu un colloquio investigativo, gli ho raccontato tutto ciò che avevo detto e di cosa parlavo, di cosa mi sentivo». Infine, domande su Giovanni Abruzzese con il quale è stato assolto nel processo Telesis.

L’avvocato Luca Acciardi è ritornato sull’inizio della sua collaborazione con la giustizia. «Ha tenuto riservate notizie di reato durante la collaborazione? No, se alcune cose non le ho fatte presente o solo stamattina, è perché mi sono uscite ora. Se ho incontrato qualcuno durante la collaborazione? Non ricordo se prima o dopo, perché io ho collaborato e sono arrivate altre persone. Ho agito come agente provocatore per tutelarmi». Impieri ha dichiarato anche che la confederazione nasce dopo la morte di Luca Bruni. Sempre l’avvocato Acciardi: «Nel 2006 c’è stato un incontro tra Bruni, zingari e italiani per stipulare un accordo di pace? Non lo ricordo. Nel 2013 c’era l’accordo con suddivisione 60-40? Sì. E per quanto riguarda la droga? Sì, c’era un accordo. Pagavate la droga di Piromallo? Non lo so, se ne occupava Ettore Sottile». L’avvocato Acciardi ha inserito un argomento trattato da Lamanna, ovvero che gli “zingari” avevano fatto un’estorsione a un parente di Piromallo. «Da quello che si diceva, mi sembra che Presta Gennaro avesse avuto discussione con il cognato di Renato».

Ed ecco le domande dell’avvocato Fiorella Bozzarello. «Esce nel febbraio 2013, poi viene arrestato nel 2014. Quando esce nel 2017, cosa trova di diverso nei rapporti con i gruppi? C’era una spaccatura con Porcaro, ma gli zingari erano un unico gruppo. Nel 2006 era sempre un unico gruppo. Nel 2017, a parte le componenti soggettive, a livello organizzativo cambia poco? Sì, cambiavano i soggetti ma la struttura era invariata. Ricorda l’8 marzo l’incontro con Illuminato? Sì, abbiamo parlato di omaggio floreale e soldi. Su Arno ha parlato di un coinvolgimento in usura rispetto a una missiva della moglie al marito? Sì, sentivo quello che diceva dalla finestra con Ariello, fino al novembre 2014. Quanto tempo è stato con Ariello in carcere? Cinque mesi». A chiudere l’avvocato Giuseppe Malvasi che è ritornato sulla fontana d’acqua che Morrone avrebbe regalato a Impieri e il riesame del pm. Giovedì toccherà ad Adolfo Foggetti.

Processo “Reset”, rito ordinario: gli imputati

  • Fabrizio Abate (difeso dall’avvocato Filippo Cinnante)
  • Giovanni Abruzzese (difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Antonio Quintieri)
  • Fiore Abbruzzese detto “Ninuzzo” (difeso dagli avvocati Mariarosa Bugliari e Antonio Quintieri)
  • Franco Abbruzzese detto “a Brezza” o “Il Cantante” (difeso dall’avvocato Antonio Quintieri)
  • Rosaria Abbruzzese (difesa dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante)
  • Giovanni Aloise detto “mussu i ciuccio” (difeso dall’avvocato Gianpiero Calabese)
  • Pierangelo Aloia (difeso dall’avvocato Giulio Tarsitano)
  • Armando Antonucci detto il dottore (difeso dall’avvocato Enzo Belvedere)
  • Rosina Arno (difesa dagli avvocati Luca Acciardi e Fiorella Bozzarello)
  • Ariosto Artese (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Giorgio Misasi)
  • Rosario Aurello (difeso dall’avvocato Ferruccio Mariani)
  • Danilo Bartucci (difeso dall’avvocato Giuseppe Manna)
  • Giuseppe Bartucci (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Nicola Carratelli) (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati)

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