giovedì,Luglio 4 2024

«L’Autonomia differenziata rende più appetibili investimenti e risorse solo al nord»

Il segretario dei Giovani Democratici di Lago, Angelo Runco, interviene dopo l'approvazione del ddl Calderoli

«L’Autonomia differenziata rende più appetibili investimenti e risorse solo al nord»

di Angelo Runco*

L’approvazione della legge sull’autonomia differenziata è al centro del dibattito pubblico odierno. Le posizioni sul tema, ad oggi, sono diversificate; c’è chi ne ha avallato l’approvazione nell’assemblea legislativa, elogiandone le potenzialità di crescita e sviluppo regionale, e chi intravede il concreto rischio di uno sgretolamento della coesione nazionale.

Le finalità che sembrano scorgersi dietro l’impostazione “calderoliana” attengono a due ordini di motivi: In primo luogo c’è la questione della redistribuzione interregionale delle risorse pubbliche; le Regioni del Nord, sono insoddisfatte dell’attuale sistema di redistribuzione e vedono il federalismo differenziato come un mezzo per trattenere una parte maggiore dei tributi erariali. In secondo luogo le Regioni richiedenti sostengono di avere un’elevata efficienza nei settori di competenza come, ad esempio, la sanità pubblica e ritengono di poter estendere questa efficienza anche alle competenze statali richieste, come l’istruzione.

La domanda da porci quindi è se l’affermazione dell’autonomia regionale funga da strumento per ridurre il divario tra Nord e Sud, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, oppure la differenziazione è solo un espediente per aumentare inesorabilmente le competenze con la finalità di drenare in maniera indiscriminata maggiori risorse, rendendo più appetibili per investimenti e qualità della vita alcune aree della nostra Nazione, a discapito di altre. Da osservatore attento, la seconda posizione è quella predominante, quella che racchiude il vero contenuto intrinseco della riforma.

L’attuazione del regionalismo differenziato rischia di sostituire i principi solidaristici della nazione con egoismi locali, soprattutto se le regioni più ricche trattenessero ulteriormente una parte significativa del gettito fiscale. La questione non è solo l’autonomia in sé, l’ ampliamento delle competenze regionali a discapito di quelle statali, ma soprattutto comprendere i rischi che le sue implicazioni avranno nella realtà del paese. L’aumento delle disparità economiche tra Nord e Sud è già un fattore preoccupante e tangibile; una cattiva attuazione dell’autonomia potrebbe finanche peggiorare la situazione.

Dal punto di vista della finanza pubblica la determinazione delle risorse, basata sulla spesa storica e la successiva revisione dei fabbisogni standard, potrebbero far sì che le regioni più ricche possano trattenere una parte maggiore dei tributi erariali, acuendo le disuguaglianze fiscali, rendendo ancor più gravosa la disparità dei servizi pubblici in tutto il paese; altrettanto difficile sarà la predisposizione dei LEP, di cui il Governo promette il raggiungimento nei prossimi due anni.

La difficoltà starà certamente nel fatto che non basterà semplicemente identificare quali sono i livelli essenziali e partire da un modello virtuoso come punto di riferimento, ma sarà far convergere quegli standard di riferimento in modo uniforme in tutto il contesto nazionale. L’esperienza ormai ventennale, ha dimostrato che tale obiettivo, a livello centrale, non è mai stato raggiunto ed è poco credibile che un maggiore spazio delle regioni possa essere la soluzione più efficace al problema. In definitiva i rischi di una insanabile crepa tra aree ricche e aree povere del paese, con la minaccia di una frattura dell’unità nazionale, sono molto più elevati rispetto al decantato efficientamento, che rimane più fantasioso che pratico e che, semmai trovasse attuazione, lo farebbe in modo del tutto squilibrato.
*Angelo Runco, segretario Giovani Democatrici Lago

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