lunedì,Luglio 1 2024

«Facciamoci una botta», voci dall’inferno della cocaina a Cosenza

Il mondo sommerso dei tossicodipendenti svelato dalle intercettazioni di una recente inchiesta antidroga su uno spacciatore «gentiluomo»

«Facciamoci una botta», voci dall’inferno della cocaina a Cosenza

«Ti vuoi fare una botta?». Non solo spacciatori. Una delle operazioni antidroga, eseguite a Cosenza negli anni scorsi, ha aperto, più di altre, uno squarcio sul mondo, fin qui sommerso e poco esplorato, dei consumatori.  Merito delle telecamere piazzate dagli investigatori nel garage di un pusher, rivelatosi non solo deposito dello stupefacente, ma anche una sorta di oppieria cinese, dove i clienti acquistavano e poi consumavano in assoluta tranquillità. «E fatti la botta, va».

E a proposito di clienti: trattandosi di cocaina, era in gran parte gente danarosa, disposta a spendere cento euro per una sniffata. «Minchia come brucia».  La roba data a Francesca è particolarmente forte. «Questa ti sguaddrara» sottolinea lo spacciatore intercettato in modalità ambientale, tranquillizzandola poi sulla bontà della sostanza. La donna ha un rapporto confidenziale con il suo pusher. Va e viene dal garage con una certa frequenza, forse anche troppa. «Non dovresti farti più» arriva a suggerirle l’indagato un giorno, a riprova della loro amicizia naufragata, però, qualche giorno più tardi: messa alle strette dagli investigatori, Francesca ammetterà ogni cosa.

Anche Carmelo fa capolino nel garage con tutto il suo carico di perplessità. «È buona sta cosa?», chiede; «Quando mai ti ho dato la cosa che non era buona a te?» è la risposta che ottiene. Anche lui si piega poi sul tavolino e si fa la botta. Centocinquanta euro per due pezzi: il trattamento riservato a Daniele è di quelli di favore. «Mo’ ti fai la botticeddra e te ne vai a casa». Quella data a Michele è «nu truanu», un tuono. Michele, per sua stessa ammissione, uscirà dal garage «a duecento all’ora».

Sfilano in centinaia sotto l’occhio indiscreto degli investigatori: molti di loro sono donne. La cocaina che acquistano è buona, non allungata con schifezze. Francesco vorrebbe correggerla con dell’aspirina, ma il suo pusher gli suggerisce la soluzione migliore: «Mettici un poco di mannite…e scialati». Si scialano per davvero. E sono tutti entusiasti del loro uomo, che per molti diventa lo zio. «Sei un grande zì», «Ti voglio bene zì», sono alcuni dei commenti registrati nel garage.

È sempre lui che, secondo gli inquirenti, rifornisce altri soggetti inquadrati dai detective nelle doppie vesti di consumatori e spacciatori, ognuno con il suo portafogli di clienti: si va dall’avvocato – «Chiru ciotariaddru» – al presidente della società sportiva, passando per il pizzaiolo e il tecnico radiologo. Pippano spesso nei bagni dei locali pubblici, alimentando un sistema del vizio molto remunerativo per i loro fornitori. «Gliela voglio far provare a sti ragazzi, così ci vanno a ruota pure loro» spiega uno spacciatore all’altro al termine di una lunga dissertazione sulla differenza tra la cocaina e il crack che «puzza di nafta».  Farli andare a ruota, ossia renderli sempre più dipendenti.

Morbida, formaggiosa, a scaglie di pesce, oleosa, friabile, ’mbacchiusa: dalle loro mani passa di tutto. Roba buona, roba di qualità elevata. Come la gialla, detta anche “Brasiliana”. Roba buonissima, da fumare o da inalare. Chi la smercia consiglia di spiegare sempre la differenza ai clienti, non prima però di aver sottratto 0,3 grammi dalla dose messa in vendita, così da guadagnarci un altro po’ di sopra. Qualcuno si vanta di averla venduta a un attore di grido che ora sta a Londra – «Quello togo, che fa sempre il malandrino» – ottenendo in cambio 400 pezzi. Per alcuni, poi, alzare soldi è l’unica cosa che conta. «Io un mi fumu mancu na sigaretta» precisa uno dei mercanti. «Ma che spacciatore brutto che sei» lo canzona il suo cliente. «Spacciatore gentiluomo», lo corregge quell’altro. E gli lascia fare la sua botta.